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Opinione

Il mestiere di serva

Ilka Oliva Corado

venerdì 5 maggio 2017, di Ilka Oliva Corado

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Ultimamente i difensori dei diritti umani ci chiamano assistenti domestici, per abbassare il colpo, ma le cose hanno un proprio nome: siamo serve, il nostro lavoro è servire.

Partendo da lì, potremmo sminuzzare la gamma di abusi che viviamo noi che lavoriamo nel servizio domestico e di manutenzione. Non importa il paese,la realtà dei servi è la stessa in ogni parte. Non andiamo a far brillare i bagni e a denunciare gli Stati Uniti come la causa di tutti i nostri mali. In India, esistono le caste, in America Latina le menti colonizzate, e così andiamo in paese e continente, ognuno con i propri mali.

Non si tratta del colore, della nazionalità, nemmeno della lingua, si tratta di chi ha il potere e chi ha il potere abusa e discrimina, con i propri e con gli stranieri. Il lavoro di bambinaia e dipendente domestica è lo stesso, solo cambia di nome: in ambo i casi il lavoro è servire. E dico servire con tutto il peso della parola: di giorno e di notte. Quando i bambini sono alla scuola o a lezioni private, noi bambinaie ci incarichiamo di pulire la casa, le stanze di gioco, cucinare, lavare la roba: il lavoro domestico. Quello della dipendente domestica è uguale e entrambe sono trattate come mobili vecchi. Perché una pulisce i panni sporchi e l’altra i bagni sporchi: entrambe lavorano fra la merda.

Noi bambinaie siamo le mamme emergenti, stiamo lì tutto il tempo perché le mamme sono a lezione di yoga, prendendo il tè con amiche o viaggiano per il mondo. Alcune, poche, lavorano. Allora le bambinaie senza volere, come conseguenza del nostro lavoro, diamo abbracci, capiamo emozioni, curiamo le malattie, raccontiamo storie e vegliamo e diamo appoggio morale a bambini che abbiamo imparato ad amare come fossero nostri e, che nel futuro quando si renderanno conto del nostro ruolo in casa loro e nella società, ci tratteranno come mobili vecchi disprezzati. Perché è il capo, perchè fanno parte del circolo della cultura del capitale.

Noi serve conosciamo l’intimità delle famiglie, fino al punto che non vogliono che nessuno sappia, conosciamo temperamenti, vizi, paure, vanti e pretese. Perché stiamo lì tutto il tempo, invisibili, mobili vecchi che si muovono da un posto all’altro per non ostacolare. Lavoriamo in silenzio, in modo da passare per sprovvedute perché, che cos’ha da raccontare una serva? In che forma può una serva interagire con i suoi datori di lavoro? Massimo quando loro avranno la culla d’oro, e pergamene pregiate e si sentono alla pari, eletti della società. In nessuna parte la serva non sente, non pensa, non ha emozioni, è lì per servire, non è mai vista come una persona, non esiste come essere umano.

Noi serve non ci stanchiamo, non abbiamo il diritto di ammalarci, ad essere depresse, ad ansimare, a rimproverare, non abbiamo nemmeno il diritto dei benefici del lavoro. Le vacanze sono per altri non per noi. Non abbiamo diritto per le emergenze perché allora, chi va a pulire le stanze, a lavare i piatti, a stirare la camicia del padrone a preparare la colazione a lavare i pavimenti? Chi andrà in posta, a prendere il pane, al supermercato? Chi curerà la febbre ai bambini? Chi pulirà il vomito del signore che è arrivato ubriaco all’alba?

E se nonostante l’abuso sorpassi gli estremi inconcepibili, noi impiegate domestiche veniamo abusate sessualmente dal capo, dai figli del capo, amici del capo e sotto la tutela della moglie del capo che non vede. Perché in fin dei conti gli uomini sono così, avidi di piacere tutto il tempo ed è meglio che vadano a letto con la serva che una lavoratrice sessuale che le può trasmettere malattie…E nei maggiori dei casi questa dipendente domestica è una bambina che non raggiunge i 12 anni.

Noi impiegate domestiche non abbiamo diritto ai dolori mestruali, perché siamo macchine, e nemmeno ad angosciarci quando i nostri figli sono ammalati in casa o all’asilo infantile dove lo abbiamo lasciato per andare a lavorare. Non abbiamo il diritto di rimpiangere i nostri genitori e fratelli lasciati nel paese quando ce ne siamo andate per la capitale o per emigrare in altri paesi. Abbiamo l’obbligo di rimanere integre per servire i nostri datori di lavoro, viviamo per loro, la nostra vita non esiste, non ha il diritto di esistere. Nemmeno i compleanni, il natale, ne i giorni festivi, noi siamo in movimento tutti i giorni dell’anno, a tutte le ore.

Noi dipendenti domestiche, custodiamo segreti intimi che qualsiasi amico dei nostri datori darebbe il braccio destro per sapere. Non ci dicono mai grazie per la nostra etica, cosa può sapere di etica una che pulisce i bagni? Che può sapere di pittura, arte, letteratura, di vini, di formaggi fini e alimenti gourmet? Una cosa è che la cuciniamo e la serviamo e l’altra è interagire.

Cosa può sapere una serva di vestiti di marca, lozioni costose e di telefoni intelligenti? Forse niente, ma è quella che cura quello che hanno di più prezioso i suoi datori: i loro figli. Ad una serva non consegneranno mai la loro automobile per andare al supermercato o alla farmacia, ma si fidano a lasciarle i propri figli tutto il giorno e le danno le chiavi di casa. L’automobile la possono graffiare, sporcare e urtare, ma che valore hanno i loro figli per lasciarli con una completa estranea che non sa nemmeno la lingua, ne chiamare un numero d’emergenza e inoltre senza documenti se si tratta di un migrante? Come possono affidare i loro figli ad una ignorante carente di conoscenza basilare per sopravvivere nella società dell’ego e dell’opportunismo?

Non le presterebbero mai il loro ultimo modello della macchina ma permettono che sia lei quella che cucina e pulisce le stanze e porti i bambini alla scuola. Trovare i vibratori lanciati a terra o fra le lenzuola e lavarli e metterli nel cassetto per custodirlo. Intimità che solo noi dipendenti domestiche conosciamo. E non abbiamo diritto di affezionarci perché i mobili non sentono, questi bambini non sono nostri, un giorno cresceranno e ci ricorderanno con un calcio nel sedere e con un addio senza avvisare, da un giorno all’altro. Come se da un giorno all’altro uno potesse dimenticare i ricordi, tagliare di netto l’affetto e assimilare che è stato solo un mobile vecchio al quale è arrivato il tempo per buttarlo nella spazzatura.

Che riposo avrà bisogno una paria che lavora come una mula? Nessuno, perché è per questo che è nata, da generazioni è nata per questo, per essere caricata come una mula.

Per questo si meravigliano tanto quando una dipendente domestica rompe il cerchio e tende le ali e vola. Con sacrificio studia, diventa professionista, si aggrega al mondo delle arti, diventa una commerciante una impresaria oppure ritorna alla campagna da dove è partita, per farla fiorire. Ma per ogni serva che riesce ad uscire dall’inferno, ce ne sono migliaia che muoiono lentamente nell’abuso e nella esclusione. E tutte hanno un nome proprio, famiglia, radice, identità, sogni. E tutte soffrono dentro di loro e hanno passioni e amano e credono, perché sono esseri umani.

Qualcuno di voi, cari lettori, qualche volta ha conversato con una dipendente domestica guardandola negli occhi e l’ha trattata alla pari? Qualche volta vi siete messi al posto suo e vi siete domandati che sarebbe stato della vostra vita se foste voi a lavorare nel servizio domestico? Cosa cambierebbe se è così? Perché non vi scambiate con loro? E non parliamo di aver coraggio, parliamo di umanità e umiltà.


@ilkaolivacorado
contacto[AT]cronicasdeunainquilina.com
Crónicas de una Inquilina

Tradotto da Monica Monicardi

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